L'euro e il dollaro hanno raggiunto ieri la parità per la prima volta in 20 anni, a testimonianza della convinzione del mercato che l'economia europea si stia dirigendo verso una profonda recessione a seguito dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia e delle successive sanzioni. Poco prima dell'invasione, l'euro valeva 1,13 dollari e aveva raggiunto un picco di 1,60 dollari nel 2008. Secondo i mercati, la risposta della Banca Centrale Europea all'aumento dell'inflazione è stata troppo cauta, d’altronde la Banca centrale europea ha margini di manovra molto limitati, a causa della situazione debitoria di alcuni paesi dell’area Euro. La Bce all’inizio del mese ha bloccato il suo programma di acquisto di titoli di Stato e sta per alzare i tassi di interesse di appena 25 punti base. A settembre ci sarà il secondo intervento, la cui entità sarà decisa in base alle prossime rilevazioni dell’indice dei prezzi al consumo. A quel punto si capirà davvero la sorte del cambio tra le due valute. La performance del dollaro, rispetto ad un paniere misto di altre valute, dice molto della situazione attuale: in giro c’è fame di liquidità in dollari. La Fed sarà forse obbligata a tornare in campo garantendo al mondo un trilione in facility repo e swap lines con le altre Banche centrali (come avvenuto nel 2019)? Come ripete da anni Brent Johnson di Santiago Capital, nel suo modello noto come “Milkshake theory”, il dollaro non morirà di debolezza, semmai per troppa forza.
Nella foto Brent Johnson.